Nel sito

Lo psicoterapeuta e il viaggio della vita


 

Grazie per esserti collegato al mio sito!

Mi presento, sono Rossella Chiusolo, una Psicologa clinica e Psicoterapeuta che crede moltissimo nel potere curativo delle relazioni buone, quelle relazioni nutrienti che ti scaldano il cuore e ti fanno sentire che la vita è stupenda e vale la pena di essere vissuta nonostante possano esserci delle difficoltà.

Sono appassionata di relazioni, relazioni affettive. Credo che mai come oggi sia di fondamentale importanza uscire dalla sicurezza del proprio guscio per incontrare l’altro ed avere l’opportunità di scoprire realmente se stessi. Ogni persona che incontro durante la mia professione e nella vita è un viaggio attraverso il mondo e per me un modo di vivere mille vite aiutando l’altro a rialzarsi lì dove è inciampato o a trovare la via lì dove si è perso.

Ringrazio tutte le persone che ho avuto il piacere di incontrare e che per me sono stati preziosi insegnanti con la storia della loro vita, e ringrazio coloro che avranno voglia di condividere un tratto del loro viaggio chiamato vita con me.

Su questo sito troverai articoli, recensioni di libri che mi hanno colpito e promozioni di attività che svolgo da sola o in collaborazione con altre figure professionali. Se alcuni articoli ti suscitano delle emozioni, delle idee o anche delle critiche mi farebbe molto piacere “ascoltarle”, ti invito a scrivermi nella mia posta, risponderò quanto prima.

Oltre ad essere il sito un modo per pubblicizzare il mio studio privato, vuole essere uno spunto di riflessione e vuole dare, a mio modo, una piccola carica energetica nutriente per l’anima di chi mi legge.

Grazie di cuore.

 

Convegno Internazionale

Il 23 e 24 Novembre a Roma si terrà presso il Centro Congressi Università degli Studi “La Sapienza” nella Facoltà di Scienze della Formazione un seminario internazionale organizzato dalla Fondazione Italiana Gestalt e dall’Istituto Gestalt Therapy hcc Kairos che avrà come ospite il professor Ed Tronick.

Tronick è uno dei massimi esperti nello studio della relazione che si instaura tra la madre e il neonato. In particolar modo ha condotto varie ricerche sul dialogo che viene instaurato quando la mamma è depressa e le ripercussioni che questa malattia ha sul bambino. Tramite un’attenta osservazione dell’interazione bambino- madre sono state studiate le reazioni comportamentali messe in atto dal bambino in risposta alla depressione materna. In seguito a questi studi è emerso che un bimbo, sin dai primi mesi di vita, presenta delle competenze comunicative e delle abilità di difesa qualora le interazioni con il genitore siano disfunzionali.

Queste ricerche pongono in primo piano il ruolo della “relazione” nell’insorgere di una sofferenza psichica.

Così come il disagio si crea in una relazione disfunzionale, allo stesso modo si cura tramite una relazione buona e nutriente. La psicoterapia umanistica, e quella della Gestalt in particolar modo, si fonda sulla creazione di una relazione che possa sostenere un dolore emotivo antico e ridare una nuova energia e un nuovo sostegno alla persona lì dove è mancato.

 

immagine aula magna centro congressi  dal sitoweb riabilitazione psichiatrica.com

 

La dipendenza affettiva: quando amare diventa un tormento

“Invece di una donna che ama qualcun altro tanto da soffrirne, voglio essere una donna che ama se stessa tanto da non voler più soffrire.”

R.Norwood

L’amore insano, quello che genera sofferenza, caratterizzato da una costante assenza di reciprocità nella relazione di coppia dove uno dei due partner ricopre il ruolo di “donatore, bisognoso d’amore” mentre l’altro di “fuggitivo” delinea lo sfondo sul quale si dipana la dipendenza affettiva.

La dipendenza affettiva o Love Addiction è una delle nuove dipendenze che inizia a porsi nello scenario della nostra società; a differenza delle dipendenze classiche non si dipende da una sostanza ma da un’altra persona.  Le caratteristiche sono:

  • ebbrezza: quando si è con il partner si prova piacere, sensazione che non si manifesta in altre relazioni o quando si è soli;
  • tolleranza: bisogno di vedere il partner in quantità sempre maggiori;
  • astinenza: l’assenza del partner causa disagio e malessere in quanto unica fonte di gratificazione;
  • paura: terrore dell’abbandono e di perdere la persona amata.

Alcune di queste caratteristiche sono funzionali nella prima fase del ciclo di vita di una coppia, durante la fase dell’innamoramento si tende a voler passare il più tempo possibile con la persona amata e a voler fondersi con essa. Queste dinamiche divengono patologiche quando si cronicizzano nel tempo e causano malessere nella coppia e nella vita di ognuno dei partner.

I dipendenti affettivi, solitamente donne, vedono nel partner un salvatore, sono talmente immersi nell’altro a tal punto che la loro felicità dipende esclusivamente dal compagno. Vivono per e nell’altro arrivando a ridurre la propria autonomia personale, la propria vita sociale e i propri interessi unicamente focalizzati sulla vita con il compagno. Questo modo di comportarsi è stato appreso nella propria famiglia d’origine dove spesso i genitori sono stati emotivamente assenti per questi bambini o perchè presi da preoccupazioni personali o dai litigi con il proprio compagno. Le persone con uno stile relazionale dipendente ricercano dei partner che facciano rivivere loro i tormenti affettivi vissuti in famiglia quando cercavano di essere amabili e bravi per ricevere le attenzioni dei genitori.

L’ossessione verso il partner serve per distrarsi dal proprio vuoto affettivo, dalla propria paura, dal proprio dolore; la relazione diviene una droga per non provare quello che si sentirebbe  se si fosse presi da se stessi. Molte donne commettono lo sbaglio di ricercare un uomo d’amare senza prima essersi soffermate su stesse: la ricerca è importante che inizi all’interno di sè. Nessuno ti amerà mai abbastanza se per prima non ti ami e ti rispetti tu.  Si passa così da una relazione instabile all’altra, e quando si trova un uomo che oltre all’attrazione prova amore e affetto si scappa o si cerca di farlo fuggire.

Per iniziare a guarire da una dipendenza affettiva bisogna ricostruire la propria autostima, la propria autonomia concentrando le proprie energie su se stessi. Inizia ad affrontare i tuoi sentimenti e ad  assumere la responsabilità delle tue azioni.

La ragione della tua vita sei tu, e non c’è bisogno che la ricerchi al di fuori.

 

 

Lo psicologo abusivo: come smascherarlo

Negli ultimi anni si stanno diffondendo figure vaghe, non definite dalla legge che sconfinano nel campo riservato allo psicologo e allo psicoterapeuta causando, purtroppo, danni alla salute psicologica dell’individuo. Queste figure utilizzano frasi generiche per autodefinirsi o nomi inglesi facendo leva sulla poca informazione che circola sulla psicologia e utilizzando stratagemmi vari per mascherare la mancata abilitazione all’esercizio della professione di psicologo.

Quali sono le figure riconosciute legalmente e abilitate ad occuparsi del benessere e della salute psicologica?

Sono lo psicologo e lo psicoterapeuta che collaborano a volte con lo psichiatra e il neurologo, medici specializzati rispettivamente in psichiatria e in neurologia.

Chi è lo psicologo?

Lo psicologo è un professionista che ha conseguito una laurea specialistica quinquennale in psicologia, un anno di tirocinio ed ha sostenuto un esame di stato indispensabile per iscriversi all’Albo degli psicologi. Per verificare che la persona a cui ti sei rivolto sia realmente un professionista del benessere e della salute mentale puoi andare sul sito web dell’Ordine degli Psicologi del Lazio o sul sito web dell’Albo Nazionale degli Psicologi e digitando nome e cognome del professionista potrai controllare la sua iscrizione o meno all’Albo degli psicologi. Il link diretto dell’Albo Nazionale degli psicologi è

https://areariservata.psy.it/cgi-bin/areariservata/albo_nazionale.cgi

Il titolo di psicoterapeuta è un ulteriore specializzazione della durata di almeno 4 anni  che uno psicologo o un medico può conseguire iscrivendosi ad una scuola di specializzazione universitaria o presso istituti riconosciuti dal MIUR.

Ricordo che chi esercita in modo abusivo la professione di psicologo è perseguibile penalmente ai sensi dell’articolo 348 del codice penale. Il cittadino può segnalare casi di abusivismo inoltrando la segnalazione anche all’Ordine degli Psicologi del Lazio.

Aiutami a diffondere la giusta informazione per tutelare la salute e il benessere psicologico della persona, insieme possiamo limitare i danni arrecati da queste persone che tutto sono tranne che professionisti del benessere!

immagine da il pluff.com

 

Uno spazio per te

La psicologia è una materia che da sempre suscita interesse, è uno degli argomenti più gettonati e di cui parlano un pò tutti. Ci sono però molti falsi miti sulla psicologia e sulla figura dello psicologo: qualcuno pensa che andare dallo psicologo sia una vergogna e che “sono i matti ad andare dallo psicologo”.

Non c’è niente di più inesatto! In molte altre culture accanto al medico di base c’è lo psicologo di base e ci vanno tutti, così come tutti vanno normalmente dal medico di famiglia senza che questo significhi essere malati terminali.

Lo psicologo è un esperto ed una figura appositamente formata che funge da guida nei momenti di difficoltà, di disorientamento in cui si ha bisogno di un valido aiuto per riprendere a vivere nel migliore dei modi.

A tal proposito ho messo a disposizione uno spazio di ascolto e di orientamento presso il mio studio il lunedì dalle 17.00 alle 19.00 e il giovedì dalle 12.00 alle 15.00 per chi volesse delle informazioni su come funziona una consulenza psicologica, su chi è lo psicologo e chi lo psicoterapeuta o per chi volesse un primo confronto su una difficoltà con un esperto.

Per accedere al servizio basta prenotarsi tramite mail a r.chiusolo@gmail.com o tramite contatto telefonico.

 

immagine dal sito gianodo.it

 

Stare nel “qui ed ora”

Utilizzo una storia zen per introdurre il concetto del qui ed ora. Lo zen, filosofia di vita nata in India, ed estesasi poi in Cina e in Giappone, utilizza molte storie e racconti densi di significato che favoriscono la meditazione.

“Un uomo che stava attraversando un campo incontrò una tigre. Cominciò a scappare con la belva alle costole. Giunto ad un precipizio si aggrappò ad un rampicante selvatico e si lanciò giù,oltre il ciglio. La tigre lo fiutava dall’alto. Tremando l’uomo guardò in giù, dove molto più in basso, un’altra tigre lo aspettava per divorarlo…L’uomo vide una succulenta fragola vicino a sè. Tenendo il rampicante con una mano, colse la fragola con l’altra. Com’era dolce!”

(racconto tratto da 101 storie zen di  Nyogen Senzaki e Paul Reps)

Questo racconto, un pò estremo, rende secondo me molto bene il concetto di vivere nel tempo presente: l’uomo riesce a notare e a godersi la fragola (sta nel qui ed ora) nonostante il pericolo incombente.

Il “qui ed ora” è un concetto base della Psicoterapia della Gestalt, orientamento che ho scelto per la mia specializzazione in psicoterapia.

Che cosa si intende per “qui ed ora“?

Si intende la capacità di stare nel momento presente, consapevoli di come e cosa si sta facendo senza scivolare nel passato o senza slittare nel futuro. Ad esempio in questo momento stai leggendo il mio articolo, sei seduto comodamente davanti al PC, starai trovando interessante o meno quello che  leggi…

Alcune difficoltà che si possono riscontrare nella vita quotidiana sono dovute proprio alla poca abitudine di vivere stando presenti nel qui ed ora: chi soffre d’ansia tende ad esempio a vivere nel futuro, prospettando eventi catastrofici ed in questo modo non vive, lasciandosi sfuggire le risorse  e le potenzialità insite nel proprio presente. Chi invece si sente bloccato ed ha paura ad agire sta probabilmente vivendo ancorato nel passato: forse ha paura di commettere gli stessi errori o di soffrire nuovamente memore di un’esperienza negativa ma anche in questo caso si perde la bellezza del momento presente e le possibilità che si presentano sulla strada.

Nella nostra società siamo quasi tutti di corsa ed orientati al futuro, al weekend che sta per arrivare ed in questo modo ci perdiamo quello che ad esempio ci potrebbe riservare la giornata di oggi. Si tende a vedere la propria felicità in un tempo futuro completamente ciechi nel cogliere quello che ci sta accadendo oggi.

Proprio grazie alla relazione che si crea nel “qui ed ora” tra me e il mio paziente è possibile sanare antiche ferite e riempirle di nuovo e fruttifero significato.

immagine presa da buonavitanews.com

 

Il viaggio di un sogno

” Ci sono cose che non puoi vedere con gli occhi: devi vederle con il cuore e questo non è facile ”.

Al ritorno dalle vacanze ho scelto di leggere un libro che potesse continuare a farmi vivere momenti di relax e leggerezzza. Avevo sentito parlare di questo autore, Sergio Bambarèn, poeta dell’anima. Così ho iniziato a leggere il suo primo libro “Il delfino“. E’ un romanzo breve di 80 pagine, il genere che preferisco soprattutto per parlare di emozioni, sentimenti e viaggi del cuore, non mi piace uno stile con troppi giri di parole, un linguaggio che non è quello del cuore. Il cuore utilizza emozioni, frasi d’impatto.

Il protagonista del libro è Daniel Alexander Dolphin, un delfino che decide di lasciare gli amici per inseguire un sogno, trovare l’onda perfetta. Daniel si era reso conto che i delfini non facevano altro che pescare dall’alba al tramonto, non avendo più tempo per fare altro finivano di vivere per pescare invece di pescare per vivere. Daniel inizia così a viaggiare per l’oceano, su e giù per le onde scordandosi a volte anche di mangiare. Ogni tanto si sentiva un pò solo ma in cuor suo sapeva di aver preso la decisione giusta. Le decisioni, anche se a volte difficili, sono un modo per definire il nostro percorso e diventare ciò che vogliamo. Nel suo viaggio alla ricerca dell’onda perfetta incontra così momenti di tristezza e paura ma la saggia voce del mare gli ricorda che non si può vivere appieno la felicità se prima non si è sentita la propria tristezza. Durante il percorso conosce altri amici che come lui inseguono un sogno, scopre così di non essere il solo. La saggezza del cuore lo guida nel suo viaggio, sente che quando sta per abbattersi è importante che si ricordi chi è e ricordi il suo sogno. Al tramonto del 40° giorno di viaggio incontra una dopo l’altra onde di una bellezza straordinaria: le onde perfette. Daniel si riempì di gioia, felice della scoperta si perse a scivolare tra le onde fino a che un giorno sentì il desiderio di condividere la bellezza della sua scoperta con gli amici delfini. Spiegò così ai suoi amici come aveva imparato a capire dove andare ascoltando la voce del suo cuore.

Daniel Alexander Dolphin visse a lungo e felice continuando a viaggiare alla scoperta di nuovi mondi, consapevole di ogni momento sempre ispirato da un sogno.

” Arriva un momento nella vita in cui non rimane altro da fare che percorrere la propria strada fino in fondo. Quello è il momento di inseguire i propri sogni”.

Libro “Il delfino” di Sergio Bambaren. Sperling & Kupfer Editori

 

E se un giorno tornasse…

“Finchè il giorno splendea, tessea la tela/superba, e poi la distessea la notte”

(Canto secondo pag. 90 e seguenti. Odissea)

Penelope, moglie di Ulisse, re d’Itaca, nell’attesa che il marito tornasse dalla guerra di Troia per mettere a tacere i corteggiatori inventò lo stratagemma della tela. Penelope disse ai pretendenti che non avrebbe scelto nessuno di loro fino a che non avesse terminato la tela a cui stava lavorando. E così la notte scuciva quel poco che aveva tessuto di giorno e non terminò mai la tela.

Ho scelto di introdurre questo articolo con uno stralcio della storia della “Tela di Penelope” narrata nell’Odissea per indicare come spesso l’attesa del ritorno del proprio amante, fidanzato o compagno sia davvero interminabile e si rischia di passare molto tempo in una attesa vana anche se nel caso di Penelope è andata a buon fine(dopo vent anni di attesa!) non è così nella maggior parte dei casi. Frasi del tipo “Lascerà finalmente la moglie e tornerà da me!” oppure “Capirà di aver sbagliato e tornerà da me!” oppure “Non può stare senza di me, mi ama troppo, tornerà sicuramente!” sono solo alcuni esempi di espressioni usate da chi è stato lasciato e non si dà pace. Riporto la testimonianza di due lettrici che lasciate dal ragazzo scrivono:

 ”Mi manca come l’aria, senza di lui niente ha più senso, sono distrutta, prego ogni giorno e ogni notte che ritorni da me e che mi dica che la lontananza da me gli ha fatto capire di aver fatto un errore a lasciarmi…Mi sento in frantumi.”

“Dolore e disperazione mi tormentano. sono stata lasciata dopo 3 anni di una storia intensa e passionale,mi ha addossato la colpa dicendo che non ci sono stata quando lui aveva bisogno di me, che è stata colpa mia se la storia è finita, che pensavo solo a me stessa e non a lui…sono a pezzi, lo cerco e non mi risponde al telefono nè su facebook…sento un vuoto incolmabile”.

Quando si ama ci si fonde con l’altro, soprattutto nella fase iniziale del rapporto, il partner occupa una posizione centrale nel nostro cuore e nella nostra mente. Quando l’altro ci lascia, si sente un dolore lacerante ed un vuoto poco descrivibile con le parole. Succede che proprio nell’assenza dell’altro questi diventi ancora più presente nella nostra vita sotto forma di pensieri ricorrenti, flashbacks di momenti vissuti insieme, si sperimenta quello che il dr. Francesetti definisce “presenza nell’assenza”. Quando ci si separa da una persona importante è un pò come se si perdesse anche una parte di se stessi ed il tempo è una medicina essenziale per superare il dolore. Le fasi sono le stesse della elaborazione del lutto che può durare qualche mese o più, non c’è un tempo stabilito proprio come ogni storia d’amore è unica così lo è il tempo che serve per elaborare la separazione dalla persona amata. A volte l’attesa di un ritorno fa parte del percorso di elaborazione ma l’importante è continuare ad andare avanti con la propria vita e non perdersi nell’attesa di un ritorno che non si sa se avverrà mai o quando proprio come non si sa se avverà mai la fine della tela di Penelope.

 

La paura dell’abbandono

Abandon” film del 2002 diretto da Stephen Gaghan tratteggia il profilo di una studentessa Catherine Burke ossessionata dalla paura dell’abbandono. Catherine, laureanda in un prestigioso college, ha subito un precoce abbandono da parte del padre che ha condizionato il suo modo di vivere le relazioni sentimentali. Il film si incentra sulla misteriosa scomparsa del suo ex ragazzo Embry. Un triller psicologico basato sul tema dell’abbandono che la protagonista del film non è mai stata in grado di elaborare e che ha profondamente inciso sullo sviluppo della sua personalità.

Non in modo così estremo e drammatico ma ad ognuno di noi nella propria vita sarà capitato di confrontarsi con la paura della separazione o dell’abbandono dalla persona oggetto del nostro amore. La paura della separazione è quasi fisiologica all’inizio di una storia sentimentale quando si vorrebbe passare il maggior tempo possibile con il proprio partner e ci si augura che sia sempre tutto così stupendo e non finisca mai l’amore. Questa paura inizia ad essere “preoccupante” quando diventa un pensiero fisso e inizia a condizionare il resto delle nostre attività come il lavoro o lo studio. Si reagisce con rabbia o paura ad ogni minimo allontanamento del partner, ad ogni telefonata mancata; il silenzio e l’assenza, seppur momentanei, non sono tollerati.

Chi vive nella paura dell’abbandono perde completamente potere sulla propria vita, perde se stesso perchè troppo impegnato a controllare l’altro e ad essere “bello e bravo” per l’altro nel vano tentativo di evitare un abbandono. Si diventa come una barca in balia della tempesta, si perde completamente il timone della propria imbarcazione sommersi dalle onde della paura. L’interesse è focalizzato esclusivamente sull’Altro. E’ come se la propria esistenza fosse legata alla presenza dell’Altro. Ci si scorda completamente di se stessi indaffarati alla ricerca di tracce dell’Altro: cosa sta facendo, c0n chi esce, cosa scrive su Facebook, con chi parla…Quello che si ottiene in questo modo è proprio quello che si tenta di evitare: l’allontanamento del partner che si sentirà soffocato.

Come mai si soffre di questa paura?

In genere convive con questa paura chi non ha una buona stima di sè, chi da piccolo ha subito dei presunti o reali abbandoni dalle principali figure di attaccamento, chi non ha sviluppato un attaccamento sicuro nei primi anni di vita chi cioè non ha sperimentato nella relazione con la madre (o con chi ne ha fatto le veci) una relazione basata sulla protezione, sulla fiducia, sulla condivisione emotiva, sull’amore. Chi ha una base sicura è in grado di gestire le separazioni, fiducioso nelle proprie potenzialità, è in grado di elaborarle, sa come si fa perchè ha imparato a farlo nel rapporto sicuro con la mamma. Chi non ha avuto la fortuna di vivere un’esperienza d’amore sicura e protettiva nella propria infanzia non è segnato a vita ma ha comunque la possibilità di instaurare d’adulto delle relazioni significative buone e nutrienti. La psicoterapia è un esempio di una relazione significativa sana dove si va a riparare la ferita causata da un’esperienza sofferente con le proprie figure d’attaccamento nell’infanzia.

Cosa può fare nell’immediato chi soffre della paura dell’abbandono?

Innanzitutto rispostare le proprie attenzioni ed energie su di sè, sulla propira vita e sulla propria esistenza riprendendo le proprie amicizie ed i propri interessi. Si è talmente preoccupati dall’abbandono da parte dell’Altro che non ci si rende conto che siamo stati proprio noi i primi ad abbandonarci quando abbiamo scelto di inseguire l’altro!

immagine fotosearch.it

 

Il potere curativo della risata

Vi racconto un mito, quello di Demetra, dea della terra e della fertilità.

Si narra che Demetra, in seguito alla perdita dell’unica figlia Persefone rapita e sposata da Ades, fosse piombata in uno stato di profonda disperazione tanto che la terra rischiava la sterilità. Baubo, un’ancella, resasi conto della terribile minaccia architetta un modo per far ridere Demetra escogitando un buffo travestimento. Demetra non appena la vide scoppiò in una travolgente risata. Da questo episodio ritornò a regnare la fertilità.

Da questo mito possiamo dedurre come già nell’antica Grecia il potere curativo della risata fosse conosciuto.

Il padre della gelotologia (dal greco scienza della risata) è considerato Norman Cousins (nella foto), giornalista scrittore e pacifista statunitense. Nel 1964  gli fu diagnosticata una grave malattia, la spondilite anchilosante, che colpisce le articolazioni e porta progressivamente alla paralisi. Per i medici che lo seguivano, il suo stato era incurabile e lo avrebbe sottoposto ad una terribile sofferenza.  Norman non si perse d’animo. Intuendo lo stretto legame tra le emozioni e lo stato di salute fisica decise di procurarsi dei libri sull’umorismo e di vedere film comici dei fratelli Marx, prescrivendosi così una terapia giornaliera della risata. Si rese da subito conto che con 10 minuti di risate riusciva a dormire 2 ore di seguito senza bisogno di analgesici perchè non sentiva il dolore.

La terapia della risata comportò inizialmente la diminuzione di sensazioni di ansia e tristezza legate alla malattia fino ad una regressione spontanea dalla malattia. Norman racconta la sua esperienza nel libro “La biologia della speranza”.

La disciplina dedicata allo studio sistematico del ridere si basa sulla concezione che le emozioni influenzano il sistema immunitario attraverso canali neuroendocrini. Il riso ha come effetti la riduzione di ormoni dello stress come il cortisolo e la stimolazione del rilascio di betaendorfine, analgesici prodotti dall’organismo.

Se è vero che stress, tristezza e malumore riducono le difese immunitarie è altrettanto vero il percorso inverso cioè che le emozioni positive come la gioia, la fiducia e l’amore portano alla guarigione. Ridere mette a tacere la razionalità e libera delle energie che il corpo sfutta per rigenerarsi.

 

L’amore cieco dei non amati

Si è ciechi quando si continua a stare in una relazione che porta alla distruzione, alla sofferenza, alla sepoltura del proprio essere. Questo non è amore. E’ altro. Ossessione, dipendenza, chiamalo come preferisci. L’amore è libertà, espansione del proprio sè, unione e realizzazione personale e nella coppia. Se ti senti annichilito, se sei felice in minore quantità di quanto sei triste sei intrappolato in una storia che non è amore.

Per amore cieco intendo l’essere in una relazione evidentemente distruttiva in modo spesso inconsapevole e disperato senza la capacità di intravedere un’altra possibilità per la tua vita. Si è ciechi quando si vede solo il proprio partner e si vive per lui, annullandosi completamente.

Ricordo ad esempio di una ragazza che quando le chiedevo cosa amasse del proprio compagno mi rispondeva dicendo “per me è il mio ossigeno, non so dire altro”. Una risposta non ancorata alla realtà, dove la Persona perde la propria essenza e le proprie potenzialità, insite in ogni essere umano, per sopravvivere all’ombra di qualcun altro.

Spesso in chi è intrappolato in questo genere di storie ci sono due spinte: una che dice che non è amore e un’altra che dice che sicuramente deve essere amore e che prima o poi il proprio partner se ne renderà conto e cambierà. In seno a questa speranza si perdono spesso svariati anni. Il problema è che nessuno cambia soprattutto se non è lui stesso a volerlo, non si cambia perchè qualcun altro lo pretende.

La fiamma di queste storie di “non amore” è proprio il rifiuto. Alcune persone appassionano tanto e ci struggono tanto proprio perchè sentiamo, anche se a livello sotterraneo, lo spettro di un vicino rifiuto. Per rifiuto intendo non solo l’essere respinti ma anche umiliati, non accettati come persone e maltrattati. Chi è accecato non è consapevole di questo meccanismo e spera che prima o poi chi la rifiuta rinsavisca e si riveli innamorato e redento. In questa vana attesa nel frattempo si è spariti come Persone.

In modo inconsapevole si va a riproporre un antico copione in cui la persona che oggi è rifiutata(respinta, maltrattata) è stata dapprima un bambino non amato: i genitori sono stati assenti o iperprotettivi e controllanti o in alcuni casi abusanti. Nella ricerca di amori attuali tormentati, il non amato, oggi adulto, non fa altro che ripercorrere l’antico copione vissuto con i genitori, l’antico dolore per non essere stato amato con la speranza di sanare questa antica ferita.

Ci vuole molto coraggio e molta forza per porre fine a storie tormentate di questo tipo. Da bambina/o non avevi scelta, oggi ce l’hai e puoi scegliere di amare te stesso.

immagine presa da blog.libero.it